Intervista a Cèline Delbecg[1] realizzata da Cèline Aulit.
Cèline Aulit — Il suo nuovo spettacolo « A cheval sur le dos des oiseaux » affronta con molta finezza la questione della genitorialità e dell’handicap. Carine non si ricorda più molto bene di come Logan è finito nella sua vita. Quel che è sicuro è « che con lui, lei ha ricevuto il mondo intero ». Come le è venuta l’idea di trattare questo tema complesso ?
Céline Delbecq — E’ la questione della relegazione delle persone vulnerabili in filiere svantaggiate che mi ha interessato inizialmente. Mi ero imbattuta in uno studio di Alice Romainville (Osservatorio delle ineguaglianze) che spiegava che la maggior parte degli studenti iscritti in scuole speciali provenivano da ambienti svantaggiati.[2]1 Questo mi ha messo in allerta. Ho avuto voglia di calarmi nella complessità di questo tema. Ho immaginato uno di questi bambini, diventato adulto.
Il rapporto con Logan si è imposto rapidamente. Forse per interrogare i possibili esiti del ciclo della povertà ? Io non l’ho portato a livello cosciente – ma le proiezioni di Carine su Logan rendono conto di tutto quello contro cui lei dovrà combattere. Dal punto in cui sono, è quasi folle immaginare che Logan potrebbe diventare medico. Eppure lei ci tiene : « Bisogna lasciargli la sua possibilità, come a tutti ». E’ per impedire che si ripeta la sua propria storia che trova la forza di combattere. Lei sa nel suo corpo che quando si è confinati nella pedagogia speciale non si diventa dottori. Per se stessa lei non si batterebbe, perché ha introiettato il discorso della società (pensa realmente di non essere una buona a niente), ma in questo bambino di otto mesi e mezzo lei vede altre possibilità…Indubbiamente così come, essendo in una relazione fusionale con il figlio, lei vede una via di uscita alla propria situazione nell’avvenire del figlio.
Può sembrare strano, ma in nessun momento mi sono detta che stavo scrivendo la storia di una donna svantaggiata. Certo, Carine ha « un ritardo » – in base ai numeri (secondo un test di intelligenza) ma ha la sua personale intelligenza, si adatta, trova delle soluzioni. In fondo, quel che penso io è che sono i test di intelligenza ad essere stupidi, inadatti a determinate realtà, non Carine…
C.A. — Carine viene da un ambiente svantaggiato e ha 10 anni nella sua testa. Quando partorisce ha paura che che le portino via il bambino perché tutti le hanno detto che non potrà occuparsene. E in effetti, è sulla corda. La signora del centro viene spesso a fare visita a questa piccola coppia improbabile. Si preoccupa e tenta di dare qualche consiglio a Carine, di far entrare il suo ruolo di madre nelle tabelle. Ma Carine « fa come crede meglio » : « E’ il mio bambino dopo tutto, sono io che so. » Questi passaggi colpiscono perché arrivano a svelare l’esercizio da funambolo- che la genitorialità è sempre- che si trova esasperato in questo contesto di precarietà. Questo porta la questione di cosa può lei possa trasmettere al figlio malgrado il fatto che non risponde a determinate norme.
C.D — Io non so se nella sua testa ha davvero 10 anni, ma è sicuramente la sensazione che si può avere quando si comincia a sentirla parlare. Dieci anni, apprenderemo, è l’età in cui è stata collocata in un centro, l’età in cui è stata separata dai suoi genitori. Per me questa impressione di infanzia che si rivela in lei è legata a questa separazione. E’ una maniera inconscia di restare leale, di non rompere del tutto il legame con i suoi genitori.
Cosa può trasmettere Carine a suo figlio in questa situazione particolare? Non è facile rispondere. Direi né più né meno di quello che l’amore produce su un essere, che ha effetti al tempo stesso terribili e necessari. Lei è come tutte le madri: a volte mostruose, a volte indispensabili. Ho certo la mia idea sulla sua capacità o incapacità di allevare suo figlio da sola, ma preferisco lasciare ogni lettore/spettatore giudicare da sé. Invece una cosa è sicura e indiscutibile : lei ama questo bambino.
C.A. — Lei usa a più riprese l’espressione « fare famiglia » nel suo spettacolo. Cosa può significare in questo contesto di legame fusionale ? « Essere mamma, è comunque qualcosa » dice Carine. Si potrebbe dire che questo nuovo statuto arriva a permettere uno scarto dal bambino che sonnecchia in lei ?
C.D. — « Fare famiglia » in lei entra necessariamente in risonanza con la sua storia personale e il fatto che la metà della sua fratria (lei è la maggiore di una famiglia di 8 figli) è cresciuta in un pensionato. Lei ha già « fatto famiglia » con i tre fratelli e sorelle insieme a lei nel pensionato. Penso che quello che « fa famiglia » per lei sia quello che « offre riparo ». In fondo anche Logan le « offre riparo ». Lei dice che, da quando lui è nato, beve meno, che riesce ad alzarsi, che pensa meno alle sue sventure, che non ha più idee nere. Il fatto di occuparsi di un bambino le da (finalmente) una responsabilità. Lei prende il suo posto di soggetto. La maternità le conferisce un ruolo, anche un certo potere, a lei che è sempre stata quella calpestata. Quindi sì, questa responsabilità permette uno scarto dal bambino che sonnecchia in lei. Da ora in poi, c’è un altro…
Fotografia: ©Wolfgang hasselmann via Unsplash
Bibliografia
Éric Laurent “Di qualche problema di superficie nella psicosi e nell’autismo”Quarto, n.2, 1981.
[1] Cèline Delbecq è una drammaturga, regista, e commediografa belga. Fonda nel marzo 2009 la Compagnie de la Bête Noire per la quale scrive e mette in scena spettacoli teatrali che si collocano in un contesto sociale occidentale. In Le vent souffle sur Erzebeth mette in scena una donna che sprofonda nella follia in seguito all’assenza, l’assenza del padre, l’assenza dell’uomo che ama, l’assenza di parole. Cinglée, presentato nell’ottobre 2019 al Rideau del Bruxelles, affronta, annodandoli, la questione dei femminicidi e della follia. La sua ultima rappresentazione teatrale, A cheval sur le dos des oiseaux, in programma fino al 15 maggio al Rideau de Bruxelles, apre la riflessione sulla filiazione e la trasmissione in una famiglia etichettata come fragile da un punto di vista psichico e sociale.
[2] https://www.lesoir.be/art/851054/article/actualite/enseignement/2015-04-14/pauvres-sont-surrepresentes-dans-l-enseignement-specialise